Dante e la musica al tempo del cholera virus

Quale miglior lettura della Commedia dantesca, oggi che ci viene giustamente imposta una clausura che ci protegga dal trasmettere o dal ricevere questo occulto nemico? E quale miglior diletto che ascoltare o, per chi sa, produrre musica?
Ci sono ragioni validissime, per ammetterlo.
“L’ora del tempo e la dolce stagione”: siamo in primavera…La Pasqua si avvicina.
Dante immagina di aver iniziato l’ascesa del Purgatorio la mattina della Pasqua del 1301. Preferisco questa data al 1300 ( e lo dice anche il Boccaccio), per ragioni che potrei spiegare in un secondo incontro: ma si tratta sempre del mattino di Pasqua, il 25 marzo.
Dante sale dunque, una volta uscito da quel “budello” come lo chiama, e vede le stelle, poi verrà l’alba.
E’ questo un buon auspicio.

“L’alba vinceva l’ora mattutina
che fuggia innanzi, sì che di lontano
conobbi il tremolar della marina.”
E noi conosciamo e amiamo il tremolar della marina…

Poi sorge il sole, e Dante con Vigilio vanno
“…lunghesso il mare ancora
come gente che pensa il suo cammino
che va col core, e col corpo dimora.”

Quali emozioni in questo andare…
Ed ecco arriva un angelo con “un vasel snelletto e leggero” , da cui scendono le anime, che cantavano il salmo “In exitu Israel de Aegypto”; si guardano attorno per cercare la loro via, e interpellano stupite Dante, accorgendosi ch’egli è vivo.
Ora tra quelle Dante scorge un’anima che gli si fa incontro per abbracciarlo “con sì grande affetto” che induce il poeta a ricambiarlo.
Poi Dante lo riconosce.
E qui avviene una cosa straordinaria e incredibilmente bella.
Dante lo supplica, se una legge che ignora non gli ha tolto “memoria o uso all’amoroso canto”, di consolare la sua anima così, con la musica.
“Amor che nella mente mi ragiona” questa è la canzone che l’amico Casella intona,”sì dolcemente,che la dolcezza ancor dentro mi suona”.
Virgilio, tutte le anime, con Dante, restano così “contenti, come a nessun toccasse altro la mente.”
E poiché erano tutti fissi e attenti, tocca a Catone richiamarli, perché devono correre al Monte, avviarsi cioè lungo il monte del Purgatorio.

Come è stato possibile tutto questo? Ma come potevano le anime purganti dimenticare la volontà divina? Per ascoltare poi una canzone?

Ma riflettiamo.
Catone richiama ad un esercizio ascetico, non nega l’emozione del canto. Inoltre essendo pagano ignora la sacralità della musica.
Non sa che l’incanto, l’estasi di cui le anime godevano era un preludio alle gioie del paradiso e pure un conforto nel cammino di purificazione, che comporta sofferenza. Ma ora c’è la speranza! E c’è pure la comunione del sentimento, la condivisione…
Preludio alla vita “beata” ma anche promessa per la vita terrena, se fondata sul pentimento, sull’accoglienza…
Inoltre si tratta di una canzone speciale, è la seconda fra le tre che Dante ha collocato fra le riflessioni del Convivio.
La musica è mediatrice di spiritualità. E la canzone va intesa nella sua istanza spirituale.
Già nel Convivio Dante evidenziava la necessità che alcune opere vadano lette – e comprese – procedendo oltre il significato letterale.
E’ bene approfondire il senso allegorico, che è morale e anagogico. E se noi andiamo a leggere la lettera che indirizzò a Cangrande della Scala, dedicandogli il Paradiso, il poeta ripropone gli stessi quattro gradi di lettura, quelli delle Sacre Scritture, prendendo ad esempio quel salmo che le anime poco prima cantavano.

E Dante, che definisce la Commedia “poema a cui han posto man e cielo e terra”, con ciò conferma il compito sacro che si è assunto, di guidare l’uomo a Dio, cioè verso la libertà interiore, che nasce dalla verità di Cristo, della sua parola, come ha detto Giovanni.
Non è la vita dell’oltretomba quella che il poeta rappresenta. E’ il cammino verso la conquista della spiritualità, il riconoscimento che tutto deve essere indirizzato verso Dio, verso la contemplazione del suo amore, verso un riscatto dell’umanità.
Certo, tutto è espresso in metafora, in simboli, e va decifrato “sotto il velame de li versi strani”.
E appunto la musica, che Dante conosce e ama, come manifesta in tutte le opere, si fa metafora e simbolo della musica interiore dell’uomo.
Come la liturgia monodica, cioè il canto gregoriano, indica la riconquista dell’unità perduta, l’accordo spirituale delle anime, l’unità nel cammino di riconciliazione, così la polifonia, che Dante conosce dalla “scuola parigina” che già l’andava scrivendo, indica la concordia suprema, quando ormai la parola si fa superflua, sostituita dalla danza, dal gaudio, dalla luce, dalla perfezione della geometria, dalla musica, da quell'”Amor che muove il sole e le altre stelle”.

Non intendo qui indugiare in disquisizioni ed esegesi critiche, ma solo vorrei invitare il lettore – sia studente o soltanto colui che può ritrovare nella biblioteca dei suoi studi liceali la Commedia che fu poi chiamata Divina, a ricercarne il senso più profondo, collocandosi all’interno delle situazioni, degli incontri, delle emozioni che Dante descrive e canta . Potrà riscoprire qualcosa che oggi conserva e rivela un senso nuovo.

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